Amalia de Bernardis, la perla artistica di rarefatta bellezza che ha chiuso la fortunata rassegna DIE MAUER
ai Magazzini del Po si riproporrà con nuovo impeto nella prossima
stagione autunnale: una rielaborazione mediata intimamente, scevra da
psicanalizzazioni forzate e quantomai anacronistiche. Il risultato è uno spettacolo denso, eterogeneo, voluttuoso che risucchia lo spettatore nel vortice dell’impenetrabile essenza femminile.
L’artista è bramosa di compenetrazione e contaminazione culturale:
sogna un rapporto tra critica e regia cercando un luogo scambio e di
intervento attraverso una discussione reale, tralasciando argomentazioni
fasulle. Questo innanzi tutto disvela la sua natura assolutamente
irrequieta e seducente. Ecco la nostra intervista.
Ciao Amalia, ci racconteresti la genesi dello spettacolo?
Cantiere Altrigo è una realtà giovanissima. Ci siamo
incontrati circa 2 anni fa, ognuno di noi proveniva da un percorso
personale più o meno legato alla disciplina artistica del teatro o
dell'arte performativa, ognuno aveva una coscienza propria e un
linguaggio umano molto complesso , azzardare una strada comune era ( e
lo è tuttora) una sfida non indifferente. La ripartizione dei ruoli è
stato un avvenimento quasi naturale e assolutamente necessario. La
regia, il metodo, la modalità di lavoro e la parola sulla messa in scena
finale sono tutti compiti che spettano a me. Cosí come la scelta del
tema reggente ogni nuovo lavoro.
IO-CASTA perciò non è stata una decisione collettiva, ma una personale proposta di viaggio. Dopo
il lavoro sull'opera di Shakespeare, tappa obbligata per la mia
anima, sono stata investita da una miriade di domande, in generale sulla
messa in scena, sul concetto
fondante del teatro, sul rapporto che si stabilisce tacitamente tra
attore/performer e regista e piu profondamente sul grado di conoscenza
che un corpo ha di se stesso e dei propri limiti e tesori, sulla
responsabilità che ho nei confronti della verità mia e di altri , sulla
possibilità di chiamare quest'ultima con il proprio nome e provare a
trasformarla in immagine per contaminare e non per comunicare una
qualunque sorta di messaggio con firma: signora so tutto io.
Mi sono anche chiesta in che modo potevo io entrare , senza punta di
piedi, negli interni di chi mi lavora accanto oltrepassando la barriera
della confessione a cielo aperto e della confidenza amichevole per poter
da questi estrapolare una realtà senza filtro, di non atteggiamento ma
di essenza. Solo attuando questo processo e portandolo a termine si puó
iniziare a parlare di genesi della comunicazione. Origine. Simbolo.
Memoria individuale e collettiva. Mito. Modernità. Famiglia. Radice.
Religione. Parlando con le persone, con i conoscenti,
osservando quelli che mi circondano e quelli che incontro per caso,
vedendo i gesti umani scambiati per intendersi oltre la parola, mi sono
accorta, forse a torto, che vi è una ripetizione di determinate
dinamiche nel rapporto che lega l'animale uomo all'intera società e che
vi sono elementi che pur differentissimi tra di loro possono essere
ricercati in celle comuni. Queste vedono la famiglia e l'origine ai primi posti. Seguiti immediatamente dal mito. Da
qui ho deciso di concentrare tutto l'operato di Cantiere Altrigo su
questi tre giganteschi contenitori. Spontaneamente ho percepito che per
raggiungere lo scopo che mi prefissavo era troppo invasivo partire
immediatamente con la ricerca sulla propria origine o sulla propria
famiglia, allora ho concentrato la mia attenzione su un diversivo che
potesse iniziare ad aprire porte già socchiuse ed ho individuato due
miti per me fondamentali in materia familiare e strettamente legati
anche ad una discussione psicoanalitica moderna, il mito di Elettra e il mito di Edipo.
Dopo sessioni di lavoro fisico, improvvisazioni, discussioni, ricerca
di materiali e letture Elettra ci é apparsa come "divoratrice" e ci è
sembrata troppo dichiaratamente attaccata alle nostre vite per poter
procedere senza una crescente invasione e senza un tavolo operatorio
degno di tutta la nostra attenzione, allora abbiamo aperto Edipo. Solo
li dentro ci si è scoperti in moto davanti ad un vero e proprio
dibattito corporeo e sensibile. L'interrogazione dei nostri organismi
sul fato, sulla scelta, sulla cecità, sulla sessualità, sull'incesto,
sul dovere, sulla fine, sulla volontà, sulla nascita, tutto dentro quel
ventre di madre/mamma/amante/creatrice/dea. Li, dove fino a quel momento
lo avevo solo percepito. In una donna, in una femmina utilizzata come
personaggio di contorno alla grande storia del maschio/vittima Edipo.
Poi ho letto una traduzione del nome Giocasta: IO-CASTA, disubbidisce alle regole e sposa suo figlio,
con lui consuma un rapporto incestuoso di vero amore, muore suicida. Ho
sorriso di gioia e gratitudine. Il primo indizio per un'opera sulla
famiglia. IO-CASTA nasce cosí.
Quale definizione daresti al tipo di teatro che avete messo in scena?
Definire è dare un nome, inserire in una categoria o in un movimento di
cui ci accettano le caratteristiche, le idee, le metodologie.
Ed io, noi, oggi non abbiamo pronte bandiere con simboli, loghi che ci
rappresentino, non utilizziamo manifesti che guidino il nostro lavoro.
Mi è caro il termine "sperimentazione" perché presuppone la possibilità
di andare ad indagare meticolosamente su territori conosciuti e non,
sui concetti di limite e possibilità, ma se devo darti una risposta ti
dico: il risultato finale che porto é il mio teatro e chiamarlo in
qualche modo adesso mi sembra un arrivo che non mi posso permettere.
Ho notato che a seconda del posto in cui uno spettatore sedeva si assisteva a uno spettacolo diverso... è stato previsto?
Abbiamo avuto la fortuna di costruire lo spettacolo all'interno dello
spazio in cui è stato donato al pubblico. Molte intuizioni, o sogni
riguardanti IO-CASTA, hanno preso vita li dentro. Il luogo, Magazzino su Po, è diventato quindi la stanza che ospita a sua volta il ventre gigante di Giocasta che accoglie e consuma,
in un gioco di nodi continui, tutta la vicenda di Edipo. Questa è
quella parte spaziale che ho sottolineato e messo alla portata di vista
di tutti, affinché questa IO-CASTA fosse finalmente il centro pulsante.
Nello stesso tempo ho volutamente inserito su un piano differente
Madame Tiresia, e la comparsa sfuggente di Edipo sul palco, che alcuni
potevano vedere chiaramente e altri invece potevano vedere solo
cambiando posizione o sporgendosi oltre l'appoggio di legno o oltre la
gonna di Giocasta. Ho anche diminuito al minimo le dimensioni della
lavagna sulla quale Madame Tiresia scrive suggerimenti fondamentali, la
profezia e una delle risposte all'indovinello della sfinge.
Questi i miei piccoli studi sul pubblico. Stimolare la curiosità è a mio avviso il primo passo che può portare una vera innovazione nella percezione delle arti.
Cercare da sè gli indizi porta il pubblico a non assorbire in maniera
passiva uno spettacolo, ma a vivere attivamente la scena.
Responsabilizzare lo spettatore alla ricerca per me è fondamentale. Non
attivare i meccanismi della comodità dello stare seduti a guardare è
importantissimo. Se devi "vedere" allora il tuo corpo deve essere
all'erta, pronto a non lasciarsi sfuggire niente. Le persone che
frequentano il teatro sono abituate ad avere "in luce" tutte le cose
importanti quindi non le cercano mai nelle ombre sfumate, nei bordi
della scena. Madame Tiresia è stato uno spunto fantastico per questo
lavoro sulla cecità. Piazzare l'oracolo del destino distante dal cuore
della centralità scenica, farlo parlare del mito di Er, fargli scrivere
con il gesso sul legno, utilizzato appositamente perché potesse creare
uno stimolo uditivo, una parte della profezia e una delle risposte agli
indovinelli della sfinge ma non metterlo in luce è una scelta precisa.
In che modo la musica ha integrato la drammaturgia?
La musica, sia i pezzi presi in prestito sia quelli composti da
Pierpaolo, sono parte stessa della drammaturgia. Il ritmo, la coralità
cantata sono stati creati come veri e propri sostituti del testo in
alcuni quadri, e come attori in scena accanto o dentro i corpi degli
attori in altri.
Di seguito l'URL dell'intervista:
http://www.d-mag.it/performing-arts/articoli/1405/il-mito-rigenerato-dalla-sperimentazione
http://www.d-mag.it/